L'OMBRELLO
Finora avevo sempre odiato queste giornate di pioggia fredda e intensa, che intride le ossa.
Credevo si potesse solo restare chiusi in casa e rintanarsi tra le coperte, col cervello in apnea dentro un tempo senza tempo, accompagnato unicamente dal tamburellare
dell’acqua sulla tettoia della veranda. Lasciarsi pigramente galleggiare, immersi nel nulla cosmico della provincia, in questa pianura grigia e umida, che annacqua anche i pensieri.
Di malavoglia ho infilato il giubbotto per andare a prendere le sigarette e un caffè decente; l’ho consumato lentamente al tavolino del bar centrale, lanciando un’occhiata distratta ad un giornale come al solito privo di notizie.Ho pagato senza accorgermene e, come un automa, distrattamente mi sono chinato sul portaombrelli; e, nel momento preciso in cui ho allungato la mia mano, lei ne ha incrociata improvvisamente un’altra, elegante e sottile.
Istintivamente ritraggo la mia, alzo lo sguardo e vedo due occhi tersi che bucano le nuvole ed un sorriso allegro che accende la giornata. E’ bella, e mi incanto.
Turbato e impacciato tento di ricambiare con una smorfia ridicola, che nelle intenzioni avrebbe voluto essere affascinante e cortese; sempre più imbarazzato afferro il
parapioggia e mi precipito fuori, sperando che lì il rosso paonazzo del mio volto si confonda con quello dell’ombrello spalancato.
Cammino in avanti con ostentata determinazione, mentre il mio cuore cerca di voltarsi all’indietro. Sento i suoi passi seguire i miei, e penso quanto vorrei fosse lei a precedermi, ed io ad accompagnarla discreto per la sua strada.
Ovunque intorno scroscia intensa l’acqua, diluendo i contorni dei palazzi e mescolando i loro colori saturi nelle tavolozze di asfalto. Immagino le sue scarpe da ginnastica che s’inzuppano, la tuta che si appiccica alle gambe affusolate.
Cerco invano una scusa, una qualsiasi ragione per rivolgerle la parola evitando ulteriori figure da idiota. In preda ad una crescente agitazione, accelero la marcia al posto che
rallentarla, come invece vorrei; e intanto mi maledico per questa fuga vigliacca.
Giro l’angolo con qualche incertezza, nella segreta speranza di scegliere la sua direzione. Ma dietro di me non sento più lo scalpiccìo dei suoi passi: forse è perduto, o coperto dal
rombo dell’auto che passa e mi schizza i pantaloni già fradici. L’orecchio si tende a cercare un segnale, il respiro si ferma.
Improvvisamente il ritmo leggero della sua camminata riprende e mi solleva lo spirito. Ma, mentre rinnovo tra me l’illusione di rivederla, sento la sua andatura intensificarsi
sempre più. Percepisco netta un’accelerazione, rapidamente lei si avvicina. Anzi, ora è proprio qui, appena dietro di me.La mia ansia si trasforma in panico e riesco solo a pensare che adesso è il momento. E’ l’ora di prendere in mano la sorte e agire. Mi volto di scatto, insieme impaurito e risoluto.
Lei è solare, nella pioggia, mentre mi vola incontro con quel viso aperto e lo sguardo franco: “Mi scusi, mi scusi tanto!” dice, rivolgendosi proprio a me. “Ho preso per sbaglio il suo ombrello, e lei ha il mio. Li abbiamo scambiati, hanno lo stesso colore!”.
Credo non si possa dire se l’errore si compia per destino o il destino per errore; ma, in fondo, non ha alcuna importanza.
Ciò che conta è che sono ancora qui, in questa città sempre bigia, sotto l’acqua battente, ma sono felice.